“Un centro d’accoglienza e mai più un lager, è quel che ci auguravamo”
Intervista di Enrico Miele a Sandra Zampa su La Repubblica di Bologna del 19 luglio 2014
«I Cie non devono riaprire» disse lei pochi mesi fa. Quello di Bologna, a quanto pare, diventerà altro. Se lo aspettava?
«Ci auguravamo tutti da tempo che quel posto non fosse più destinato a essere un lager. Anche il sindaco Merola e l’assessore Frascaroli hanno spinto perché divenisse finalmente un luogo di accoglienza ».
Ora c’è quasi l’ufficialità.
«E questo testimonia che, quando lavoriamo tutti insieme, i risultati a casa li portiamo. Ora la struttura potrà accogliere persone che non sanno dove vivere, che sfuggono da guerre e violenze inaudite ».
Bologna è una città più accogliente senza un Cie in funzione?
«Quel luogo era una vergogna in cui la gente veniva abbandonata. Ora invece sarà un posto dove restituire una speranza di vita a chi entra. E per questo anche Bologna sarà un posto migliore ».
Bologna sta ospitando quasi 500 rifugiati. Potrebbe fare di più?
«Il governo dovrebbe fare di più. Bologna sta lavorando bene, ma si tratta di un lavoro faticoso. Non possiamo solo inseguire l’emergenza, ma porci pure il problema di cosa sarà delle loro vite. Una famiglia non può stare tutta la vita in una ex caserma».
Dopo questa mossa, la città può fare da esempio anche per il resto del Paese?
«Ma questo è già successo. Dopo di noi molte altre città si sono mobilitate per chiudere i loro Cie, andando in pressing sul Viminale. Prima o poi, sono convinta, il governo sarà costretto a superare la normativa dei centri di espulsione ».
La deputata Pd Sandra Zampa è stata in prima fila nella battaglia per la chiusura del Cie di via Mattei.
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Dodici anni senza pace tra proteste e denunce via Mattei ha cambiato volto
Articolo di Lorenza Pleuteri su La Repubblica di Bologna del 20 luglio 2014
Sul piede di guerra, contro “il lager degli immigrati” di via Mattei, sono scesi dall’inizio centri sociali, movimenti antagonisti e anarchici, costanti nel dire no alle “gabbie” e alla “detenzione amministrativa”, con slogan, cortei e azioni di disturbo non sempre pacifiche. Tensioni esterne e problemi interni, da subito, da prima. Durante la ristrutturazione del complesso militare, operazione messa in discussione dal sindaco Walter Vitali, i dissidenti hanno “smontato” e danneggiato il Centro. Qualche giorno dopo l’inaugurazione, avvenuta in gran segreto per non surriscaldare gli animi, quattro ospiti sono scappati. E i tentativi di fuga si sono ripetuti periodicamente, così come i gesti di autolesionismo e denuncia. Donne e uomini si sono cuciti le labbra, hanno incendiato materassi e arredi, si sono opposti ai custodi in divisa. Un trattenuto tunisino di 36 anni, era l’agosto del 2006, è morto stroncato da una overdose.
Le rare voci arrivate dall’ala sinistra della politica sono rimaste un rumore di fondo fino all’ispezione e alla relazione della commissione guidata da Staffan De Mistura, all’epoca lontano da incarichi di governo. Il Cpt di Bologna nel febbraio 2007 è finito nella lista di quelli da chiudere. Non è successo. Nemmeno dopo il sopralluogo del sindaco Sergio Cofferati, uscito dai cancelli dicendo parole chiare e dure, con la Quercia spaccata: «È una struttura da superare, un ibrido pieno di contraddizioni, di sofferenza e di violenza, dove si infrangono i sogni di tanti extracomunitari». E la vita si ferma. Il 4 marzo 2012 un altro immigrato rinchiuso nel Centro, un ragazzo tunisino di 21 anni, è stato trovato agonizzante ed è spirato in ospedale, per ragioni che la procura deve ancora chiarire.
Lo spartiacque, nei giudizi e nelle prese di posizione, lo ha fatto il cambio di budget e di gestione. Due anni fa è scaduto il mandato delle Misericordie dei fratelli Giovanardi, subentrate alla Croce rossa. Lo Stato ha tagliato il rimborso giornaliero per trattenuto, sceso da 69 euro a 28,5 euro. La Prefettura, ignorando le informazioni negative giunte da più parti, ha affidato il Cie al consorzio siciliano L’Oasi. E da allora, dicembre 2012, le condizioni interne sono peggiorate e diventate insostenibili, inaccettabili anche per gli osservatori “neutri”. Il fronte contro si è allargato e irrobustito. Al garante per i diritti dei detenuti Desi Bruno e alla parlamentare Pd Sandra Zampa, in prima fila da tempo, si sono aggiunti il sindaco Merola, l’assessore al Welfare Amelia Frascaroli, la futura ministra Cécile Kyenge, associazioni di base non barricadere, avvocati, medici. L’Ausl ha certificato il pessimo stato della struttura. Un anno e mezzo fa, andando oltre dichiarazioni e annunci, la Cgil ha presentato una dettagliata denuncia alla procura, dando origine a due ulteriori inchieste penali, una sulla procedura d’appalto e sulle violazioni del capitolato, l’altra sulle condizioni di lavoro dei custodi.
Il Centro, nel marzo 2013, è stato chiuso. L’Oasi ha perso la gestione, revocata dalla stessa Prefettura. E i 31 lavoratori sono finiti a spasso, «ancora in attesa di percepire da piazza Roosevelt – ricordano, sperando adesso di essere “ripescati” – le indennità dovute, le tredicesime e le liquidazioni».